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Workshop Inclusione Creativa

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Workshop Inclusione Creativa
WORKSHOP

Workshop Inclusione Creativa

Workshop di progettazione condotto da Edoardo Milesi e Jean Pierre Velo in collegamento da Curitiba per un centro metropolitano per senzatetto a Curitiba (Paranà), Brasile.

22 luglio 2024

INIZIA

12:00

ALLE ORE

26 luglio 2024

FINISCE

14:00

ALLE ORE

Via Boldrini, 4, Montalcino, SI, Italia

Accesso

IN PRESENZA

Quota di iscrizione

GRATUITO / previa iscrizione al FESTIVAL (vedi sotto)

Crediti formativi (se previsti)

ATTENZIONE - La partecipazione alle attività della settimana del FESTIVAL DEGLI APPETITI implica il tesseramento all’associazione Scuola Permanente dell’Abitare. La tessera associativa garantisce l’accesso gratuito a tutte le attività del Festival - quota 15€ una tantum

Durante il Festival degli appetiti, un gruppo di architetti progetterà uno spazio urbano nel centro storico di Curitiba in Paranà (Brasile) messo a disposizione dal Comune. Abbiamo chiamato il progetto Inclusione Creativa, un progetto metropolitano in autocostruzione con e per artisti e senza tetto, da realizzare in collaborazione con l’istituto di urbanistica di Curitiba (IPUC). 

 

Abitare significa generare un luogo, ma non implica necessariamente avere un tetto sotto il quale stare. Secondo Frank Lloyd Wright abitare significava vivere in armonia col nostro tempo, con il luogo e l’essere umano. Abitare è quindi trasformare lo spazio in un luogo di relazioni tutto nostro, al punto che a volte ci diventa difficile comprenderlo e addirittura condividerlo. Le relazioni rendono lo spazio non più misurabile perché, a causa della loro qualità, la distanza tra soggetto e oggetto continua a modificarsi; e poiché le relazioni non sono solo tra esseri umani, ma con la città, le cose, gli odori, i rumori e la memoria che questi attivano dentro di noi, il luogo non è più misurabile nemmeno nel tempo. Il significato di abitare viene da habitus, mettersi addosso, costruirsi un luogo dove stare, ma i luoghi si possono perdere. Abbiamo accertato gravi patologie attorno alla perdita del proprio luogo come la solastalgia, neologismo coniato nel 2003 dal filosofo australiano Glenn Albrecht per indicare quel sentimento di nostalgia che si prova per un luogo nonostante vi si continui a risiedere, il quale, per svariati motivi (affettivi, climatici, guerre, carestie…) diventa irriconoscibile come proprio. Quando confondiamo integrazione con inclusione favoriamo questo senso di malessere, questo aspetto di violazione, emarginazione e alienazione: integrare significa obbligare ad accettare la nostra cultura, includere significa accettare quella dell’altro, accettarlo come è. Un comportamento etico. E di nuovo torniamo al luogo perché Ethos, in greco antico, significa casa - luogo di relazioni buone con le cose. Custodirlo dovrebbe essere il nostro compito, un istinto scontato per tutti gli esseri viventi, un bisogno auto-imposto (dall’etica appunto) all’uomo, spesso distratto, perché ha perso il senso di un comportamento socialmente accettabile e buono, senza il quale la convivenza non solo è minacciata e complicata, ma può diventare impossibile. Le domande che ci facciamo per questo progetto nel periodo che stiamo vivendo (96.000 senza tetto in Italia, 3.000 solo a Milano) sono: Chi sono i senza tetto? Abitano o hanno scelto di non vivere più? Sono parassiti consapevoli o persone che hanno sogni e talenti da realizzare e che, in qualche modo, attendono?

 

Cosa c’entra l’arte con i senza tetto. L’arte riesce a mettere assieme il rito, il suo potere primordiale, un’esigenza di tutti gli esseri viventi - nel mondo dei vivi il rito è ovunque, neppure i senza tetto riescono a sottrarsi ad esso - e il mito, un tentativo di venire a patti col mondo e di creare armonia tra le nostre vite e la realtà. Vincere i falsi miti della nostra contemporaneità attraverso il linguaggio del mito potrebbe, ad esempio, riavvicinarci alla natura e alla nostra intelligenza emotiva, insegnandoci a difenderci dall’algoritmo e da scenari progettati da altri, che forse è quello che tentano di fare i senza tetto. Anche il viaggio è un modo dell’abitare su cui vale la pena riflettere. Viaggiatori e turisti hanno in comune il desiderio di indossare abiti diversi rinunciando (momentaneamente) alla propria vita. Anche le città con un alto numero di senzatetto sono spesso le stesse che attraggono molti turisti, suggerendo una possibile perdita di identità distintiva.

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